Nella
foto gli avvocati che hanno difeso in Corte di giustizia la
dipendente precaria siciliana del Comune di Valderice Santoro
Carissimi
dipendenti precari degli Enti Locali ed istituzionali della Regione
Siciliana, vi informo dettagliatamente che il 13
luglio
scorso, a Lussemburgo presso
la sede della Corte
di giustizia europea,
si è svolta l’udienza
pubblica
della causa
C-494/16 – Santoro
sul
precariato
pubblico siciliano
e nello specifico sulla sanzione
effettiva, equivalente ed energica
da
adottare in caso di illegittima
precarizzazione
dei rapporti di lavoro nel pubblico impiego italiano ed in modo
particolare in quello siciliano.
All’udienza
pubblica hanno partecipato gli avvocati Michele
De Luca (già
Presidente della sezione lavoro della Corte di Cassazione,
attualmente in pensione), Vincenzo
De Michele, Sergio Galleano ed Ersilia De Nisco.
Numerose
sono state le domande poste dall’Avvocato
generale della Corte di giustizia Szpunar alle
parti, che dal contenuto delle stesse, ha chiaramente messo in luce
la piena presa di coscienza della Corte di giustizia dell’assenza
di
misure idonee nel nostro Ordinamento, in grado di sanzionare in modo
adeguato gli abusi della pubblica amministrazione nell’utilizzo dei
contratti a termine. In particolare, è stato messo in evidenza come
in Sicilia la lunghissima durata dei contratti di lavoro a termine
nella Pa, non ha eguali negli altri Paesi membri dell’Unione
europea.
In
quella sede la Commissione Ue ha ribadito quanto già evidenziato
nelle osservazioni scritte, sottolineando
che per tutto il precariato pubblico italiano non sono previste
misure effettive idonee a sanzionare l’abusivo ricorso ai contratti
a tempo determinato stipulati
dalle pubbliche amministrazioni, alla luce della sentenza
del 15 marzo 2016 n.5072 delle SS. UU.
Corte
di cassazione,
e che, prima di procedere alla messa in mora all’esito della
chiusura della fase EU PILOT della procedura
di infrazione n. 4231-2014
attivata sulla mancata applicazione della clausola 5 dell’Accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato per il pubblico impiego,
attenderà l’esito della causa in Corte di giustizia.
La
Commissione europea, inoltre, ha confermato la posizione già assunta
con le osservazioni scritte presentate il 23 marzo 2017, circa la non
conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia della
sanzione (inventata)
dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite con la sentenza
del 15 marzo 2016 n. 5072,
e cioè quella dell’attribuzione di una indennità
compresa fra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione al
dipendente pubblico, vittima di un’abusiva reiterazione di
contratti di lavoro a tempo determinato, a cui va ad aggiungersi il
risarcimento da perdita
di chance
(impossibile
da provare).
Il
giudice relatore della causa Santoro,
il bulgaro Arabadjiev
(componente
dei due Collegi della Corte di giustizia che hanno deciso le
cause Affatato e Valenza),
ha chiesto in italiano all’Avvocatura generale dello Stato
italiano, in rappresentanza del Governo, se
aveva qualche replica da fare rispetto all’affermazione, contenuta
nelle osservazioni scritte della lavoratrice Santoro,
che nella Regione Siciliana dal 1958 all’attualità non sono mai
stati banditi concorsi pubblici tipici, ai sensi dell’art. 97 Cost
per le assunzioni a tempo indeterminato negli enti pubblici locali,
ma tantissime norme legislative regionali di stabilizzazione dei
precedenti rapporti di lavoro precari; il difensore dello Stato
italiano non ha potuto fornire alcuna risposta per mancanza di
informazioni al riguardo. Come
mai nessuna delle Istituzioni regionali (Governo e ARS), ha informato
l’Avvocato generale dello Stato italiano sulla palese difformità,
almeno dal 2004, della legislazione siciliana in materia di
precariato pubblico, con le normative nazionali e comunitarie vigenti
in materia di contratti a termine nel pubblico impiego?
L’Avvocatura
generale dello Stato italiano, nelle sue difese orali non ha fatto
alcun riferimento né all’art.20 del Decreto
Legislativo 25 maggio 2017, n.75
e
alle misure di “superamento
del precariato nelle pubbliche amministrazioni”
contenuto nella riforma “Madia”,
né agli artt. 3e 4 della
Legge
Regionale 29 dicembre 2016 n. 27,
che
la Regione Siciliana ha varato l’anno scorso per dare risposte al
fenomeno del precariato pubblico siciliano, ma ha insistito
sull’efficacia dissuasiva contro gli abusi contrattuali della
responsabilità del dirigente.
L’Avvocato
generale della Corte di giustizia Szpunar
(già
Avvocato generale nella causa Mascolo,
in cui il 17 luglio 2014 ha depositato le conclusioni scritte che
sono state accolte dalla Corte di giustizia nella sentenza del 26
novembre 2014) ha comunicato in udienza che depositerà le
conclusioni scritte il 26
ottobre 2017.
Anche
dal tenore dell’inusuale comunicato stampa del 13 luglio 2017 della
Sezione italiana dell’Ufficio stampa della Corte di giustizia, ci
si attende una nuova censura nei confronti dello Stato italiano,
della Regione Siciliana e della Corte di
cassazione,
per la mancata applicazione della sentenza Mascolo della
Corte europea.
La
Commissione europea nelle osservazioni scritte presentate in Corte di
giustizia, ha individuato nella sanzione
della liquidazione dell’indennità spettante al lavoratore privato
licenziato
ex art. 18 della Legge
20 maggio1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori),
delle 24
mensilità, alla quale andrebbe aggiunta l’indennità forfettaria
da 2,5 a 12 mensilità, la sanzione effettiva, equivalente ed
energica in grado di rispettare i criteri imposti dalla normativa e
giurisprudenza comunitaria ( in questo modo la sanzione effettiva
avrebbe un massimo liquidabile per il lavoratore pubblico abusato di
36 mensilità, per un importo che si potrebbe aggirare intorno a
50-60 mila euro).
Una
soluzione del genere, sarebbe pericolosissima per le casse pubbliche,
pertanto la soluzione più ragionevole sarebbe quella della rimozione
del divieto di conversione nel settore pubblico.
Infatti
già la Corte di giustizia con la sentenza
Martínez Andrés e Castrejana López del 14 settembre 2016
aveva statuito che La
clausola
5,
paragrafo 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato,
siglato il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva
1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo
quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve
essere interpretata nel
senso che osta a che una normativa nazionale,
quale quella di cui ai procedimenti principali, sia applicata dai
giudici nazionali dello Stato membro interessato in modo che,
in caso di utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro
a tempo determinato, il diritto alla conservazione del rapporto di
lavoro è accordato alle persone assunte dall’amministrazione
mediante un contratto di lavoro soggetto a normativa del lavoro di
natura privatistica, ma non è riconosciuto, in generale, al
personale assunto da tale amministrazione in regime di diritto
pubblico, a meno che non esista un’altra misura efficace
nell’ordinamento giuridico nazionale per sanzionare tali abusi nei
confronti dei lavoratori,
circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.
Quanto
all’inadeguatezza
e ineffettività della sanzione forfettaria
inventata dalle Sezioni unite con riferimento all’abrogato art.32,
comma 5, della
Legge
12 novembre 2010 n.183,
la Commissione Ue è molto chiara ai punti 35-44 delle osservazioni
scritte della causa C-494/16, condividendo le perplessità del
giudice del rinvio pregiudiziale e facendo valutazioni negative
sull’iter argomentativo della Cassazione, soprattutto alla luce
dell’evidente contrasto di quanto affermato dal giudice
nomofilattico interno con quanto precisato dalla Corte di giustizia
nell’Ordinanza Papalia,riprendendo
l’Istituzione Ue anche quell’elemento di comparazione con i
lavoratori a tempo determinato nel settore privato che, nella parte
iniziale delle osservazioni scritte, sembrava essere stato
accantonato: «Quanto
all’effettività dei rimedi indicati nella sentenza delle Sezioni
Unite n. 5072/2016, la Corte ha già stabilito che, se uno Stato
membro decide di sanzionare una violazione del diritto dell’Unione
mediante il rimedio del risarcimento del danno, tale risarcimento
dev’essere anzitutto efficace ed avere idoneo effetto dissuasivo
nel senso di consentire: a) una riparazione adeguata del danno
subito; b) un risarcimento integrale di tale danno e c) una
riparazione superiore ad un risarcimento solo simbolico.»
(punto 35).
Afferma
infatti la Commissione Ue che «nell’ordinanza
di rinvio, il giudice a quo ha espresso delle forti perplessità
sulla concreta esperibilità di tale ulteriore risarcimento del danno
e la Commissione considera che tali rilievi sono pienamente fondati,
soprattutto perché non sembra che le Sezioni Unite abbiano fornito
gli ulteriori elementi richiesti dalla Corte in Papalia quanto al
danno per perdita di “chance”: come rilevato dal giudice del
rinvio, le Sezioni Unite non hanno escluso la necessità di un onere
della prova per il danno da perdita di “chance”.»
(punto 41).
Quanto
alla seconda questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale
di Trapani
sulla
ricerca di una misura sanzionatoria alternativa a quella delle
Sezioni unite che assicuri l’equivalenza della tutela dei
lavoratori pubblici precari, la Commissione Ue si orienta ai punti
47-59 delle osservazioni scritte della causa C-494/16 tra la
conversione a tempo indeterminato in aggiunta all’indennità
forfettaria, come per i lavoratori privati, richiamando al punto 51
in nota 35 la sentenza Martínez
Andrés e Castrejana López[1] della
Corte di giustizia, e l’indennità sostitutiva della reintegrazione
di 15 mensilità di retribuzione (sempre in aggiunta all’indennità
forfetaria), di cui all’art.18, comma 5, della Legge
20 maggio 1970 n.300,
nel testo antecedente le modifiche della Legge
28 giugno 2012 n.92:
«come
dimostra il procedimento oggetto della sentenza delle Sezioni Unite
n. 5072/2016, deciso in primo grado dal Tribunale di Genova in
seguito alla sentenza della Corte nel caso Marrosu e Sardino ma con
decisione poi annullata dalle Sezioni Unite mediante la detta
sentenza n. 5072/2016, i
lavoratori che non possono ottenere la conversione del proprio
rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, come coloro che
hanno concluso un contratto di lavoro a termine con la pubblica
amministrazione, possono comunque domandare il beneficio della
indennità per mancata reintegrazione nel posto di lavoro, rimedio
espressamente previsto nell’ordinamento italiano in caso di
licenziamento ingiustificato, come rilevato dalla Commissione al
punto 19 delle proprie osservazioni scritte, al quale essa si
permette di rinviare.»
(punto 58).
Attualmente
la Corte di giustizia è totalmente “ingolfata”
da procedimenti di remissione da parte di Giudici italiani, da ultimo
quella della
Corte d’appello di Trento
che ha chiesto alla Corte di Lussemburgo se
la stabilizzazione del personale precario è una misura in grado di
riparare il danno subito dai lavoratori dopo anni di precariato,
senza che agli stessi sia riconosciuto il risarcimento per i numerosi
anni di “sfruttamento” ricevuto.
La
Corte d’appello di Trento chiede specificamente alla Corte di
giustizia “se
la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul
lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28
giugno 1999, n. 1999/70/CE debba essere interpretata nel senso che
osta all’applicazione dell’art. 1 commi 95, 131 e 132 dell’art.
1 della Ln. 107 del 2015 dello Stato Italiano, che
prevedono la stabilizzazione degli insegnanti a termine per il
futuro, senza effetto retroattivo e senza risarcimento del danno,
quali misure proporzionate, sufficientemente energiche e dissuasive·
per garantire la piena efficacia delle norme dell’accordo quadro in
relazione alla violazione dello stesso per l’abusiva reiterazione
di contratti a termine per il periodo anteriore a quello in cui le
misure, di cui alle norme indicate, sono destinate a produrre
effetti”.
La
lotta al precariato pubblico siciliano continua, non solo per il
presente, ma anche per il futuro al fine di prevenire il formarsi di
un nuovo precariato che con il tempo diventerà “storico”
come amano definirsi, giustamente, i dipendenti precari siciliani.
Il
prossimo appuntamento è al 26
ottobre 2017,
quando l’Avvocato generale Szpunar depositerà in Corte di
giustizia le proprie conclusioni, e ci consentirà di capire i
possibili orientamenti della Corte di giustizia, che dovranno poi
concretizzarsi con una successiva sentenza attesa per dicembre 2017 o
gennaio/febbraio 2018.
Una
particolare
attenzione, sul comportamento ondivago del sindacato confederale,
va posta anche al giudizio pendente in Corte costituzionale, di cui
all’Ordinanza
del giudice del lavoro di Foggia del 26 ottobre 2016 la
cui udienza pubblica non è stata ancora fissata in cui la Cgil,
la Fp
Cgil
e la Uil
Fpl
si sono costituite ad adiuvandum a
tutela dei precari pubblici contro il divieto di conversione del
contratto a termine nel settore pubblico.
Dott.
Gaetano Aiello
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