giovedì 12 marzo 2015

Abuso del precariato nella Pa: la condanna della Cassazione Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 23.12.2014 n° 27363

Abuso del precariato nella Pa: la condanna della Cassazione
Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 23.12.2014 n° 27363
La Cassazione, con sentenza del 23 dicembre 2014, n. 27363 ha condannato l'"abuso" del precariato nella pubblica amministrazione, aderendo alla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, ma con "obiter dictum" che non riguardava la materia del processo (Cass., sent. n. 27363 del 23 dicembre 2014).
In via incidentale, con richiamo solo implicito alla sentenza "Mascolo" 2014 della Corte di Giustizia Europea sulla scuola, ha dichiarato che un precariato pubblico di oltre trentasei mesi costituirebbe "abuso" di contratti a termine per contrasto con la direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999: per questo caso sono necessarie sanzioni effettivamente idonee ad evitare che si continui come prima, con possibilità di trasformazione a tempo indeterminato (in ruolo).
Gli abusi senza fine di precariato nella pubblica amministrazione, e non solo per la scuola, sono arrivati ad un limite d'insopportabilità, ma quanto affermato dalla Cassazione non acquista autorevolezza proprio per essere "obiter dictum". Bisogna considerare però la velocità della rete.

Un riferimento solo implicito alla successiva sentenza “Mascolo” della Corte Europea sulla scuola
Con una sentenza depositata l’antivigilia di Natale (n. 27363 del 23 dicembre 2014), la Cassazione ha fatto affermazioni di rilievo sul precariato pubblico ma solo con «obiter dictum» e cioè per materia estranea al processo. La Cassazione s’è pronunziata dopo oltre sei anni, superando i termini ragionevoli del processo, fissati dalla “legge Pinto” (art. 2-bis L. 24 marzo 2001, n. 89) in tre anni per il primo grado, due per il secondo ed uno per il giudizio di legittimità. Il tempo però non ha aiutato: la Cassazione ha evitato la domanda giudiziale ed ha dato un parere non richiesto su questione estranea al processo. Tuttavia di grade importanza.
Il caso era quello d’una infermiera d’ospedale che negli anni ’90 era stata assunta con contratti precari vari (a termine, collaborazioni conuative e forse altro) per essere infine assunta a tempo indeterminato o, come si dice ancora, “in ruolo” tramite concorso: a questo punto, e quando ormai era stata collocata a riposo, ha chiesto il risarcimento dei danni per quei vecchi contratti di precariato. I giudici dei due primi gradi di giudizio avevano respinto la domanda, affermando che, incontestata l’illegittimità dei contratti, comunque mancava il danno. L’infermiera ha fatto ricorso per Cassazione solo per il risarcimento dei danni, perché non c’era più interesse al posto di ruolo, che infine l’interessata aveva avuto con regolare concorso ed era stata collocata a riposo.
La Cassazione ha approfittato del caso per affermare, aderendo alla più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, che, se il precariato supera complessivamente trentasei mesi, si avrebbe diritto all’immissione in ruolo senza concorso specifico. Oltre l’«obiter dictum», la Cassazione ha dimenticato di promunziarsi sulla domanda di risarcimento; al limite, ma forse assurdo, potrebbe essere esperita un’azione revocatoria. Inoltre la ricorrente, rimasta senza risposta giudiziale, è stata anche condannata alle spese legali.
Formale adesione alla giurisprudenza UE
Con la sentenza esaminata (n. 27363 del 2014) la Cassazione cita per adesione la sentenza “Carratù” e l’ordinanza “Papalia” della Corte di Giustizia Europea. Si tratta di Corte giust. Ue, Sez. III, 12 dicembre 2013, n. 361/2012, C. Carratù c. Poste Italiane S.p.A. (in Giur. it., 2014, n. 5, 1158) e di Corte giust. Ue, Sez. VIII, 12 dicembre 2013, n. 50/13 (ordinanza), R. Papalia c. Comune di Aosta (in Corr. giur., 2014, n. 2, 275).
La sensazione però è che la Cassazione abbia tenuto conto soprattutto della sentenza “Mascolo” [Corte giust. Ue, Sez. III, 26 novembre 2014 nelle cause riunite C-22/13, C-61/13, C-62/13, C-63/13, C-418/13, R. Mascolo ed altri c. Ministero dell’Istruzione ed altri]. Il rinvio a quest’ultima è solo implicito, in quanto pubblicata dopo (Cass. 27363/2014 è stata decisa il 15 ottobre 2014 e depositata il 23 dicembre 2014, mentre la sentenza “Mascolo” è del 26 novembre 2014).
La sentenza 26 novembre 2014 della Corte Ue è quella sui precari della scuola, diventata subito famosa perché, come generalmente affermato, imporrebbe l’immissione in ruolo senza concorso specifico; riguarda il ricorso «abusivo» di legittimi contratti a termine nella scuola, mentre nel caso di Cass. 27363/2014 c’era stata successione di contratti illegittimi nella sanità pubblica.
La giurisdizione nella velocità del web
Con la sentenza “Mascolo” 26 novembre 2014, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato per la scuola che una successione di supplenze, anche se conforme alla legge italiana, comunque contrasta con l’accordo-quadro europeo di cui alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999; inoltre, se l’immissione in ruolo per avanzamento in graduatoria è aleatoria, manca una sanzione sufficientemente effettiva e dissuasiva. Anche in presenza di esigenze particolari di flessibilità, lo Stato italiano non può esimersi dall’osservanza dell’obbligo di prevedere una misura adeguata contro l’«abuso» di successione di contratti a termine; pertanto, per la scuola, la Corte giunge alla conclusione che debba o possa essere ammessa la conversione a tempo indeterminato (“in ruolo”) senza concorso specifico.
Nell’incapacità dello Stato-ordinamento di risolvere per la scuola il problema di un precariato che dura da decenni, ed anzi da sempre, alla fine di fatto la soluzione non poteva essere diversa. Giustamente, s’è applicato l’art. 117 della Costituzione, che impone i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, coordinato con l’art. 97 comma 3 Cost. che richiede il concorso pubblico per l’immissione “in ruolo”. S’è ritenuto che l’«abuso» illecito si avrebbe oltre un “tetto” massimo di contratti a termine, individuato nei trentasei mesi cumulativi ex art. 5, comma 4-bis del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (inserito dall’art. 1 comma 40 lett. b) della L. 24 dicembre 2007, n. 247). La situazione resta però difficile ed incerta, sia perché si prospetta un numero abnorme di immissione “in ruolo”, con rischio di sovrannumero di dimensioni imprevedibili, sia perché non è chiaro come si possa giungere a questo risultato e se siano comprese anche le altre pubbliche amministrazioni o solo la scuola.
Su tutto questo, nulla si dice nella sentenza n. 27363 del 23 dicembre 2014 citata all’inizio, limitata ad un’adesione acritica alla giurisprudenza della Corte Europea e ad un rinvio solo implicito alla sentenza “Mascolo”; la Cassazione ha ripetuto però, riferendole genericamente a tutto il pubblico impiego, le parole della Corte europea sull’applicabilità del “tetto” dei trentasei mesi ex art. 5 , comma 4-bis del D.Lgs. 368/2001, oltre il quale scatterebbe l’immissione “in ruolo” senza concorso specifico. Come, non si sa; che siano compresi gli altri comparti, oltre la scuola, potrebbe essere logico, ma forse no.
La notizia è corsa immediatamente in rete, creando illusioni ed allarmi, ma non c’era che un «obiter dictum». La giurisdizione, con la velocità del web, è diventata ancor più delicata e difficile.



 Fonte: http://news.avvocatoandreani.it/notizie-giuridiche/visualizza.php?abuso-precariato-nella-condanna-della-cassazione-261ffb7ad0393d36ecefa084661afd1per%C3%B2,%20riferendole%20genericamente%20a%20tutto%20il%20pubblico%20impiego,4per%C3%B2,%20riferendole%20genericamente%20a%20tutto%20il%20pubblico%20impiego,

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