domenica 31 agosto 2014

La reiterazione dei contratti a tempo determinato negli Enti Locali ed Istituzionali e nella Regione Siciliana. L’abuso nei confronti dei lavoratori precari.

I contratti a tempo determinato, che coinvolgono l’intera platea dei dipendenti pubblici precari degli Enti Locali ed Istituzionali e della stessa Regione Siciliana, nel caso di abusi per la reiterazione dei contratti a termine oltre il limite massimo di 36 mesi, devono sottostare alla clausola n. 5 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, di cui alla Direttiva Europea n. 70/1999/CE del 28 giugno 1999.
La clausola n. 5, relativa alle misure di prevenzione degli abusi per la reiterazione dei contratti a tempo determinato, dispone:
"1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e delle prassi nazionali e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato: a) devono essere considerati successivi; b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato."
In Sicilia, nessuna istituzione pubblica, nella qualità di datore di lavoro dei dipendenti pubblici precari, si è mai preoccupata dell’assurdità stessa che Enti Locali ed Istituzionali e la Regione possano avere bisogno anche dei dipendenti precari (ormai i concorsi pubblici negli Enti sono diventati una chimera!!!), mantenuti per buona sostanza con risorse del Bilancio della Regione Siciliana, per potere continuare ad erogare in maniera efficiente i servizi all’utenza, in modo stabile e permanente per tantissimi anni. Tutto ciò, ovviamente, in contrasto con quanto dispone la Legislazione comunitaria vigente, in materia di abuso di contratti a tempo determinato negli Stati membri dell’Unione Europea.
Cari dipendenti pubblici precari, stiamo parlando, nel totale disinteresse delle Istituzioni regionali e del solito sindacalismo duale, di servizi erogati ai cittadini, che di norma sono già stabiliti dalla Legge, di una quantità di lavoro prevedibile e programmabile e dunque di un organico che dovrebbe essere quello necessario sulla base di una corretta organizzazione amministrativa.
Tuttavia, alla luce di quanto testé affermato, il precariato degli Enti e della Regione Siciliana rappresenta nel 2014 un unicum nel panorama del lavoro pubblico in Italia, dove i contratti a tempo determinato, di durata limitata nel tempo sono stati negli anni (ormai sono 15 – 16 anni di proroghe al 2016, dopo l’entrata in vigore dell’articolo 4 della Legge 30 ottobre 2013 n. 125 cd. Legge D’Alia) continuativamente e reiteratamente prorogati dal 2000, in violazione della Direttiva n.70/1999/CE del 28 giugno 1999.
A tal proposito, quindi, bisogna rimarcare, soprattutto ai soggetti deboli ed abusati – dipendenti pubblici precari- che la mancata applicazione o la non corretta applicazione del diritto comunitario alla fattispecie concreta dei contratti a tempo determinato, stipulati dalla stragrande maggioranza degli Enti e dalla Regione, nel qual caso i precari decidessero di agire in giudizio nei confronti del datore di lavoro pubblico che ha abusato della loro condizione precaria con la reiterazione dei contratti a termine, ciò potrebbe in un futuro imminente comportare pesantissime conseguenze sanzionatorie per gli stessi Enti e per la Regione Siciliana.
A tal riguardo, la stessa Corte di Giustizia dell’ Unione Europea ha precisato che il principio per il quale uno Stato membro, è obbligato a risarcire i danni arrecati ai soggetti lavoratori precari, per violazione del diritto dell’Unione ad esso imputabile, vale con riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del medesimo diritto, qualunque sia l’organo di tale Stato la cui azione od omissione abbia dato origine alla trasgressione.
Occorre aggiungere, inoltre, che quando una violazione del diritto dell’Unione è commessa da un Giudice nazionale, le norme di cui agli articoli 258-260 del TFUE (Trattato di funzionamento dell’Unione Europea), prevedono la facoltà di adire la Corte di Giustizia, affinché venga accertata una siffatta violazione nei confronti dello Stato membro interessato.
Peraltro, gli obblighi comunitari per lo Stato italiano e l’attuazione delle sentenze della Corte di Giustizia, anche in sede di interpretazione pregiudiziale, oltre all’esecuzione delle stesse decisioni della Corte Europea, trovano un preciso presidio nella Legge 24 dicembre 2012 n. 234, in materia di attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione Europea. In particolare, l’articolo 1 (finalità) e l’articolo 43 (diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di Regioni o altri Enti Pubblici responsabili di violazioni del diritto comunitario), non lasciano spazi ad alibi interpretativi, che tendano a vanificare o a ridurre la portata e l’efficacia dell’interpretazione comunitaria nell’Ordinamento statale italiano.
Ritornando ora alla reiterazione dei contratti a tempo determinato sin dall’anno 2000, il comportamento illecito tenuto dagli Enti Locali ed Istituzionali e dalla Regione, sul quale incombe il silenzio della politica e del sindacato duale, ha reso la vita di tanti dipendenti pubblici precari priva delle necessarie tutele, quali la sicurezza del posto di lavoro, la possibilità di crescere nella professionalità e la possibilità di avere lo stesso trattamento giuridico ed economico riconosciuto ai dipendenti strutturati o di ruolo.
Pertanto, a rigore di applicazione della Legislazione comunitaria, statale di recepimento, regionale e contrattuale vigente, in Sicilia il comportamento illecito tenuto da tutti gli Enti Pubblici, ha reso privo di quelle tutele necessarie il lavoro dei dipendenti pubblici precari, e che la sanzione consequenziale a tali comportamenti deve essere tesa a restaurare i lavoratori dei diritti fondamentali loro lesi e dei danni ricevuti in tanti anni di vita lavorativa.
Infatti, se ci trovassimo davanti un datore di lavoro privato, non ci sarebbe dubbio sulla sanzione in caso di reiterazione dei contratti a termine: consisterebbe nella conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato e nella conseguente sanzione economica. Siamo, invece, davanti ad un datore di lavoro pubblico, considerato immune dalla possibilità di subire la conversione del contratto a tempo indeterminato, avendo l’onere di assumere per concorso, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione.
Ma, se analizziamo con la serenità necessaria la Costituzione e la legislazione vigente in materia di assunzioni nella Pubblica Amministrazione regionale, ci accorgiamo che la prima violazione a detto articolo va ascritta proprio alla Pubblica Amministrazione stessa e a tutti gli Enti Pubblici della Regione Siciliana. Reiterare una serie di contratti a tempo determinato per tantissimi anni ad una serie di persone, significa coprire posti in dotazione organica per un lungo periodo, eludendo proprio la regola del concorso pubblico. E’ quindi la stessa Pubblica Amministrazione che viola la regola del concorso pubblico e la elude sistematicamente ricorrendo ai contratti a termine e poi la invoca, per evitare le sanzioni previste in caso di abusi della Legislazione comunitaria vigente.
La stessa regola del concorso pubblico, tanto decantata, non viene affatto violata, posto che l’articolo 97 della Costituzione prevede espressamente la possibilità per il Legislatore ordinario di derogare al principio della concorsualità. Deroga non necessaria, poiché l’articolo 36 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001 n. 165, come sostituito dall’articolo 49 del Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito in Legge 6 agosto 2008 n. 133, prevede che anche le assunzioni a tempo determinato, siano effettuate nel rispetto delle procedure di reclutamento di cui all’articolo 35 del Decreto Legislativo n. 165/2001, in osservanza proprio dell’articolo 97 della Costituzione.
Bisogna rilevare, inoltre, con grande onestà intellettuale prima che con convinzione giuridica, come l’articolo 36 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001 n. 165, che salva la Pubblica Amministrazione dalla conseguenza sanzionatoria della trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in caso di violazioni di norme imperative, sia precedente all’emanazione del Decreto Legislativo 6 settembre 2001 n. 368, che disciplina la materia del contratto a tempo determinato, in recepimento della Legislazione comunitaria di cui alla Direttiva n. 70/1999/CE.
Infatti, il Decreto Legislativo 6 settembre 2001 n. 368, che regolamenta in Italia l’istituto del contratto a termine, costituisce norma abrogatrice implicita della precedente, in particolare dello stesso articolo 36 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001 n. 165. Non si comprende, alla luce del diritto comunitario vigente in materia, che non fa alcuna differenza tra datore di lavoro pubblico e/o privato, come si consideri l’articolo 36 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001 n. 165 norma speciale, senza peraltro motivare perché lo sarebbe, visto che questo si trova all’interno di un Decreto Legislativo di carattere generale sul pubblico impiego.
La sanzione della conversione a tempo indeterminato dei contratti, quindi, non incontrerebbe ostacoli in materia di violazioni di norme imperative, e sarebbe giustificata ampiamente anche alla luce del principio comunitario di uguaglianza e non discriminazione tra dipendenti pubblici a tempo indeterminato e/o a tempo determinato, in servizio negli Stati membri dell’Unione Europea.
Alla luce di quanto sopra evidenziato, qualora un Comune, un qualsiasi Ente Pubblico e/o Istituzionale ricadente nel territorio regionale, la stessa Regione Siciliana, abbiano utilizzato rapporti di lavoro a tempo determinato oltre il limite massimo di 36 mesi consentito dalla Legge, il divieto di costituzione di un rapporto a tempo indeterminato non troverebbe applicazione, perché nella fattispecie non vi sarebbe alcuna violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori. Il limite dei 36 mesi, non riguarderebbe l’assunzione ed i vizi propri del contratto individuale di lavoro, dato che la sanzione per il suo superamento, cioè la costituzione automatica di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sarebbe esterna al contratto di assunzione, di per se legittimo, ed avrebbe lo scopo di prevenire e reprimere l’abusiva reiterazione delle assunzioni a tempo determinato.
Infatti, proprio per evitare il precariato a vita nel pubblico impiego, il Legislatore nazionale costretto dall’Europa, avrebbe previsto un arco temporale di 36 mesi, superato il quale il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato, indipendentemente dalla legittimità o meno del termine apposto al contratto stesso ( articolo 1, comma 40 della Legge 24 dicembre 2007 n. 247).
Ora bisogna che i precari, tutti i precari, in massa, chiedano alla Magistratura del lavoro siciliana di esprimersi su questo abuso colossale di tutti gli Enti nei confronti di dipendenti pubblici discriminati, visto che la Politica regionale del rinvio non vuole affrontare seriamente questo fenomeno eccezionale e dalla stessa creato per il consenso elettorale, con strumenti eccezionali.

Dott. Gaetano Aiello

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