Il
fenomeno del precariato pubblico siciliano che dura da quasi
trent’anni è finalmente arrivato all’attenzione della Corte di
giustizia.
Ad essere messa in discussione è tutta la legislazione
siciliana in materia di precariato degli Enti Locali ed Istituzionali
della Regione, a partire dall’art. 22 della Legge
Regionale 21 settembre 1990 n. 36,
di recepimento dell’art. 23 della Legge
11 marzo 1988 n. 67,
fino ad arrivare all’art.
77, comma 2, della Legge Regionale 28 dicembre 2004 n. 17, di
disapplicazione ai contratti a termine della normativa europea.
Appare
quindi evidente l’assurdità
giuridica della legislazione siciliana,
non riconosciuta dalla parte maggioritaria della magistratura del
lavoro siciliana, di sottrarsi alla normativa comunitaria, in palese
violazione degli artt. 11 e 117 della Costituzione, che ha lasciato i
dipendenti precari siciliani abusati dalla reiterazione dei rapporti
di lavoro subordinati a termine privi di tutela effettiva contro gli
abusi stessi. Infatti, ai
contratti a termine che coinvolgono quasi 22 mila dipendenti pubblici
siciliani, in virtù di tali disposizioni legislative regionali
difformi alla legislazione comunitaria e nazionale vigenti in materia
di cantratti a tempo determinato nel pubblico impiego, non solo non
viene riconosciuta la costituzione a tempo indeterminato dei
contratti a termine che hanno superato i 36 mesi, ma neanche il
risarcimento del danno di cui all’art 32 della Legge
12 novembre 2010 n. 183,
stabilito dalla Corte di cassazione a SS. UU con sentenza
15 marzo 2016 n. 5072.
Sentenza tralaltro messa in discussione davanti alla Cgue, per quanto
riguarda la priporzionalità e l’effettività e l’energicità
della sanzione in conseguenza dell’abuso subito dal lavoratore a
termine
E’ stata discussa il 13
luglio 2017 in
Corte di Giustizia dell’Unione europea a Lussemburgo la questione
pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Trapani alla quale hanno
partecipato i legali del dipendente Santoro,
Sergio Galleano, Ersilia De Nisco e Vincenzo De Michele, cui si è
affiancato l’avv. Michele De Luca, già Presidente della sezione
lavoro della Cassazione italiana.-
La questione discussa a
Lussemburgo riguarda un aspetto solo apparentemente secondario della
più generale situazione del precariato siciliano, ovvero la
quantificazione del
danno a seguito dell’utilizzo abusivo dei contratti a termine, ove
il giudice non ritenga possibile la costituzione a tempo
indeterminato del rapporto e che la Corte di Cassazione italiana
limita a poche mensilità (da 2,5 a 12) anche nel caso si situazione
di precariato che durano da decine di anni, come nel caso dei
dipendenti precari siciliani.
La
domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra la
sig.ra Santoro
e il suo datore di
lavoro, cioè l'Amministrazione del Comune
di Valderice (TP),
con riferimento al suo rapporto di lavoro svoltosi dapprima come
lavoratore socialmente utile (dal 1996), poi co.co.co (dal 2005) e,
infine, con più contratti a tempo determinato successivi con
scadenza il 31 dicembre 2016.
Il
Tribunale di Trapani
osserva che, ferma l’illegittimità di una prassi abusiva di
successione di contratti di lavoro a tempo determinato oltre
trentasei mesi nel settore pubblico (si
veda, ad esempio, la sentenza Mascolo C. 22/13
sui
precari della scuola),
la Corte di cassazione esclude la conversione del rapporto e si
limita a liquidare un risarcimento in termini monetari. E, infatti,
una recente pronuncia resa dalla Corte
di cassazione a Sezioni Unite
(sentenza 15 marzo 2016 n. 5072), onde rendere
(a suo dire)
equo il trattamento del lavoratore pubblico rispetto a quello del
lavoratore privato
in una situazione analoga (cioè, come detto, abuso della
contrattazione a tempo determinato per un periodo di oltre tre anni),
ha stabilito che il
risarcimento al lavoratore del settore pubblico è composto da due
parti:
a.
un'indennità
forfetaria
attribuita senza che il lavoratore sia chiamato a fornire alcuna
prova, da quantificare fra
un minimo di 2,5 mensilità e un massimo di 12 mensilità dell'ultima
retribuzione
(identico
trattamento per le due categorie di lavoratori);
b.
un risarcimento per
la perdita di chances
favorevoli,
previo assolvimento di un pesante onere probatorio a carico del
lavoratore: costui deve dimostrare che, se l'Amministrazione avesse
regolarmente indetto un concorso, egli sarebbe risultato vincitore o,
comunque, che talune possibilità di impiego alternative sono sfumate
a causa del rapporto a termine instaurato con l'Amministrazione.
Questa voce risarcitoria serve
a “compensare” l’impossibilità di stabilizzare un contratto di
lavoro a termine nel settore pubblico.
Ebbene,
in relazione a quest’ultima voce, il Tribunale di Trapani osserva
che al lavoratore si impone l’onere di fornire una “prova
diabolica”,
perché è
addirittura giuridicamente impossibile che si riesca a provare (sia
pure con l'ausilio di presunzioni) l'ipotetica vittoria di un
eventuale concorso pubblico … mai bandito! Il risarcimento della
perdita di chances,
ossia uno dei due pilastri sui quali poggia la tutela approntata
dalla Corte di cassazione, è quindi solo apparente e l'unica forma
di tutela effettiva è rappresentata dall'indennità forfettaria che
varia da 2,5 a 12 mensilità, che da sola non elimina l’esistenza
di una vera e
propria discriminazione tra lavoratori pubblici e lavoratori privati.
Così impostato il
problema, il Tribunale di Trapani,
nel caso specifico che coinvolge il precariato pubblico siciliano che
ha una durata quasi trentennale,
chiede alla Corte di giustizia, in via pregiudiziale:
1. se
sia una misura equivalente ed effettiva l'attribuzione di una
indennità compresa fra 2,5 e 12 mensilità dell'ultima retribuzione
al dipendente pubblico, vittima di un'abusiva reiterazione di
contratti di lavoro a tempo determinato, con la possibilità per
costui di conseguire l'integrale ristoro del danno solo provando la
perdita di altre opportunità lavorative oppure provando che, se
fosse stato bandito un regolare concorso, questo sarebbe stato vinto;
2. se
il principio di equivalenza vada inteso nel senso che, laddove lo
Stato membro decida di non applicare al settore pubblico la
conversione del rapporto di lavoro (riconosciuta nel settore
privato), questi sia tenuto comunque a garantire al lavoratore la
medesima utilità, eventualmente mediante un risarcimento del danno
che abbia necessariamente ad oggetto il valore del posto di lavoro a
tempo indeterminato
Nel
corso dell’udienza, la
Commissione europea ha osservato che tale trattamento è del tutto
contrario al principio di proporzionalità e di equivalenza del
diritto europeo,
ritenendo più
adeguata, ad esempio, la liquidazione dell’indennità spettante al
lavoratore privato licenziato (24 mensilità) alla quale andrebbe
aggiunta l’indennità forfetaria da 2,5 a 12 mensilità ( il totale
liquidato al lavoratore abusato sarebbe di 36 mensilità).
La
questione che è stata discussa in Corte non è di poco conto. I
legali del dipendente Santoro, avevano infatti chiesto al giudice la
costituzione a tempo
indeterminato dopo 36 mesi,
come dispone la Direttiva n. 70/1999/CE, del rapporto di lavoro
precario. Gli avvocati, inoltre, hanno osservato che anche la misura
dell’indennità
suggerita dalla Commissione europea porterebbe a dover risarcire
tutti precari siciliani che ne facciano richiesta con le azioni
giurisdizionali, per somme che potrebbero arrivare fino a
50-60.000,00 euro,
così rendendo inevitabile per la Regione Siciliana e lo Stato
italiano una stabilizzazione che eviti esborsi economici
insostenibili per il bilancio pubblico della Regione e dello Stato.
Adesso
dopo le conclusioni dell’Avvocato generale la sentenza della Corte
è attesa entro l’anno o al massimo all’inizio del 2018.
Infine,
vorrei sottolineare che ad oggi la via del contenzioso di massa mi
sembra la più concreta, visto che l’azione legislativa portata
avanti dal Governo regionale e dal Legislatore siciliano è ferma al
palo e neanche le azioni di rivendicazione sindacale dopo quasi 30
anni di lavoro nella Pa mi sembrano voler affrontare concretamente il
fenomeno del precariato pubblico siciliano. A mio avviso una tutela
effettiva contro il più gigantesco abuso di Stato mai realizzato in
una Pa che dura da quasi trent’anni, sarebbe ora di adottarla in
massa.
Dott.
Gaetano Aiello
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