Precari e giustizia europea: le conclusioni dell’Avvocato Generale sono previste per il 26 ottobre
In tema di pubblico impiego le norme italiane non sono in linea con quelle di matrice europea. Il risultato è che l’Italia è il Paese dell’eterno precariato. Molte volte, la Corte Europea ha “bacchettato” il legislatore italiano affinché predisponesse una tutela «più energica» [1]nei confronti dei lavoratori precari. Ad oggi, però, ancora non si è arrivati ad una soluzione che risolva definitivamente il problema. Le tanto attese risposte sono, però, in arrivo e a rispondere sarà direttamente la Corte Europea, il cui pronunciamento avverrà a giorni. Le conclusioni dell’Avvocato Generale sono previste per il 26 ottobre 2017. In fondo all’articolo si riporta il testo il comunicato stampa [2].
Precariato: la giurisprudenza in Italia
La Corte di Cassazione [3] ha stabilito che il dipendente pubblico, vittima di un’abusiva reiterazione di contratti a termine per oltre 36 mesi, ha diritto ad un risarcimento del danno da quantificarsi tra le 2,5 e le 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto [4]. Questo rimedio forfettario, tuttavia potrebbe rivelarsi del tutto insufficiente, in quanto sproporzionato a fronte dei danni effettivamente subiti dal personale precario. Secondo l’orientamento attualmente maggioritario non spetterebbe, inoltre, al precario statale la cosiddetta stabilizzazione, il diritto – cioè – ad ottenere la conversione del proprio contratto di lavoro da contratto a termine a contratto a tempo indeterminato. Secondo questa tesi, infatti, la legge italiana [5] vieterebbe ai giudici di operare la conversione. Se non ci fosse detto divieto – sostengono i fautori di questo orientamento – sarebbe minato un importante principio costituzionale, che impone alle pubbliche amministrazioni di assumere personale solo a seguito di procedure concorsuali [6]. In altri termini, chi sostiene questa tesi ritiene che se fosse possibile trasformare il contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, sarebbe facile per la Pubblica Amministrazione eludere l’obbligo di predisporre un bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego.
Il principio del concorso per l’accesso al pubblico impiego
Ai fautori dell’orientamento riportato sopra sfugge un dato importante. Il principio dell’accesso al pubblico impiego tramite concorso è sancito nel nostro ordinamento dalla Carta Costituzionale e precisamente dall’art. 97 della Costituzione. Orbene, l’art. 97 Cost. dispone testualmente che: «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge» La regola del concorso, quindi, può essere derogata in base alla legge e ove la legge preveda forme diverse di accesso al pubblico impiego, dovrà farsi riferimento a queste forme e non alla regola del concorso pubblico, che rappresenta sicuramente un principio fondamentale nel nostro ordinamento, ma non è l’unica forma di accesso al mondo del lavoro statale. Si pensi al reclutamento del personale che avviene (soprattutto tra gli amministrativi della scuola) mediante avvio dalle liste di collocamento.
Vi è inoltre un ulteriore dettaglio che sfugge. Anche per il lavoro privato vige un importante principio costituzionale, con la differenza che – in tal caso – non ci si è posti alcun problema a superalo, in nome di un più rilevante diritto (quale – appunto – la stabilizzazione) spettante al lavoratore del settore privato. I costituzionalisti, infatti, sanno bene che la Costituzione [7] stabilisce che «l’iniziativa economica privata è libera». Ma se è vero che l’iniziativa economica privata è libera, allora perché si “costringe” il datore di lavoro privato ad assumere il proprio dipendente, una volta che questi abbia superato il trentaseiesimo mese di precariato? E soprattutto, perché si può “sacrificare” un principio costituzionale a favore di un lavoratore privato, mentre di rinunciare al dettato della Costituzione a favore del precario statale non se ne parla proprio? Si tratta di interrogativi che fanno riflettere e che riceveranno – a giorni – un giusto responso da parte della Corte di Giustizia Europea.
Precariato: la questione al vaglio della Corte Europea
In data 13 luglio 2017, a Lussemburgo si è tenuta un’udienza di discussione concernente la tematica del precariato dei dipendenti pubblici italiani. La questione affrontata dai giudici europei concerne la vicenda di una donna che per anni ha prestato la propria attività lavorativa nel settore pubblico, alle dipendenze di un’amministrazione Comunale (il Comune di Valderice). Più precisamente, la donna era stata assunta sin dal 1996 come Lavoratrice socialmente utile (Lsu), dal 2005 con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (Co.co.co.) ed, infine, con plurimi e successivi contratti a tempo determinato. Evidente quindi che la donna abbia subito per anni un’illegittima precarizzazione del proprio rapporto di lavoro. Detta situazione di illegittimità non è sfuggita al Tribunale di Trapani al quale la donna si era rivolta per far valere i propri diritti. In sostanza, secondo il Tribunale di Trapani, posto che la donna ha subito per oltre venti anni un’abusiva situazione di precariato, del tutto insufficiente si rivelerebbe l’indennità quantificata tra le 2,5 e 12 mensilità. Alla donna, di contro, dovrebbe essere riconosciuto il diritto alla stabilizzazione e/o comunque un risarcimento molto superiore il cui valore dovrebbe per lo meno eguagliare il valore economico del posto di lavoro per troppo tempo negatole. Ciò posto, detto Tribunale, schieratosi dalla parte della lavoratrice ha rimesso – con apposita ordinanza [8] – la questione ai giudici europei. Le conclusioni dell’Avvocato generale sono previste, salvo rinvii o impedimenti, al 26 ottobre prossimo. Di seguito si riporta il relativo comunicato stampa.
Fonti:
-
https://business.laleggepertutti.it/25615_stabilizzazione-precari-il-comunicato-stampa-della-corte-europea
- Corte di giustizia dell'unione europea
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