È questo il
principio di diritto enunciato dal Tribunale di Trani con la sentenza
in commento.
La pronuncia segue
la via di un nuovo orientamento[1]
che si sta imponendo con sempre maggiore vigore nel panorama
giurisprudenziale, diretto a calibrare la normativa nazionale ai
principi comunitari della disciplina dei contratti di lavoro a tempo
determinato sanciti dalla Direttiva 1999/70/CE, primi fra tutti il
principio di non discriminazione e quello di prevenzione degli abusi
derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti
di lavoro a tempo determinato.
Proprio intorno alle
conseguenze sanzionatorie che il nostro ordinamento ricollega alla
violazione di norme imperative in tema di contratti di lavoro a
termine, si registra uno degli elementi di distinzione più rilevanti
tra settore pubblico e privato. L’art. 5, co. 4-bis, del d.lgs.
n. 368/2001
(che attua in Italia la Direttiva 1999/70/CE) prevede la sanzione
della trasformazione del contratto di lavoro a tempo determinato in
contratto a tempo indeterminato, oltre al risarcimento del danno
eventualmente subito dal lavoratore, mentre l’art. 36, d.lgs.
n. 165/2001
(T.U. Pubblico Impiego) prevede, invece, la sola sanzione del
risarcimento del danno, escludendo il diritto del lavoratore pubblico
alla conversione automatica del contratto a termine sottoscritto in
violazione di disposizioni imperative.
La giurisprudenza
attualmente maggioritaria giustifica la diversa e minore tutela
riconosciuta al lavoratore precario pubblico e ritiene pienamente
legittimo il divieto di conversione del contratto di lavoro a tempo
determinato nel pubblico impiego, affermando, tra l’altro, che la
sola sanzione del risarcimento del danno costituisce una misura
idonea ad evitare il ricorso abusivo a contratti a tempo determinato
e, se del caso, a tutelare adeguatamente il lavoratore (Cass. civ. n.
14350/2010), in linea con quanto affermato anche dalla giurisprudenza
comunitaria.
L’orientamento
contrario cui aderisce la sentenza in commento punta l’attenzione
proprio sul concreto effetto dissuasivo del risarcimento del danno.
Partendo dal dato
concreto relativo alla forte presenza di lavoratori precari nelle
pubbliche amministrazioni, si afferma che il solo strumento
risarcitorio non può considerarsi, da solo, idoneo a tutelare i
lavoratori a termine nel settore pubblico e che, pertanto, vi è nel
nostro ordinamento una illecita disparità di tutela tra lavoratori
pubblici e lavoratori privati.
Tutto ciò contrasta
con la normativa comunitaria che, come ha più volte affermato la
Corte di Giustizia europea, se da un lato non richiede
obbligatoriamente la sanzione della conversione, delegando agli Stati
membri il compito di individuare misure adeguate per far fronte ad
usi distorti del contratto a termine, dall’altro impone l’adozione
di “misure
effettive per evitare ed eventualmente sanzionare il ricorso abusivo
a contratti a tempo determinato”
(C.G.E., ordinanza “Affatato” del 01.10.2010). Soltanto la
presenza di tali condizioni può giustificare un regime sanzionatorio
differente per il settore pubblico rispetto al settore privato.
Secondo il Tribunale
di Trani, l’attuale ordinamento italiano non contiene alcuna
effettiva sanzione idonea ad ovviare all’utilizzo abusivo e
reiterato di contratti a termine nel pubblico impiego. Nel caso
concreto preso in esame, «ove
si ritenesse applicabile il cit. art. 36, che prevede il solo
limitato risarcimento del danno, peraltro privo di parametri
determinati, non si otterrebbe (come nei fatti non si è ottenuto)
alcun effetto deterrente, tant’è che il malvezzo lamentato è
perdurato per oltre un decennio dalla emanazione del provvedimento
legislativo … (…). La stessa Corte Cost., con una recente
sentenza (n.
303/2011)
ha chiarito che “la stabilizzazione del rapporto è la tutela più
intensa che il lavoratore precario possa ricevere … il risarcimento
… assume valore logicamente secondario».
La soluzione
adottata, precisa infine il Giudice del Lavoro, non si pone in
contrasto con l’articolo 97 Cost, non solo perché il medesimo
articolo prevede deroghe di legge generale alla regola dell’accesso
al pubblico impiego mediante concorso, ma anche perché non
stabilisce le caratteristiche del concorso medesimo.
Il nuovo
orientamento in esame, dunque, mira a dare piena attuazione ai
principi sanciti dalla Direttiva 1999/70/CE come interpretati dalla
Corte di Giustizia europea, sottolineando l’inadeguatezza della
sola sanzione risarcitoria nella lotta all’uso/abuso di contratti
di lavoro a tempo determinato nel pubblico impiego e la conseguente
necessità di superare il divieto di conversione di cui all’art.
36, d.lgs.
n. 165/2001,
applicando anche ai lavoratori pubblici le tutele riconosciute nel
settore privato.
______________
[1]
Cfr. Trib. Siena, 27.09.2010; Trib. Livorno 25.01.2011; Trib. Trani
19.09.2011, n. 4556.
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