I
contratti a tempo
determinato, che
coinvolgono l’intera platea dei dipendenti pubblici precari degli
Enti Locali ed
Istituzionali e
della stessa Regione
Siciliana, nel caso
di abusi per la
reiterazione dei contratti a termine oltre il limite massimo di 36
mesi, devono
sottostare alla clausola
n. 5 dell’Accordo
Quadro sul lavoro a tempo determinato,
di cui alla Direttiva Europea n. 70/1999/CE del 28 giugno 1999.
La
clausola n. 5,
relativa alle misure
di prevenzione degli abusi
per la reiterazione dei contratti a tempo determinato, dispone:
"1.
Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione
di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati
membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi,
dei contratti collettivi e delle prassi nazionali e/o le parti
sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti
per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle
esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più
misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del
rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima dei
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il
numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
2.
Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le
parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali
condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato: a)
devono essere considerati successivi; b) devono essere ritenuti
contratti o rapporti a tempo indeterminato."
In
Sicilia, nessuna
istituzione pubblica,
nella qualità di datore di lavoro dei dipendenti pubblici precari,
si è mai
preoccupata dell’assurdità stessa che Enti Locali ed Istituzionali
e la Regione possano avere bisogno anche dei dipendenti precari
(ormai i concorsi
pubblici negli Enti sono diventati una chimera!!!),
mantenuti per buona sostanza con risorse del Bilancio della Regione
Siciliana, per potere continuare ad erogare in maniera efficiente i
servizi all’utenza, in modo stabile e permanente per tantissimi
anni. Tutto ciò,
ovviamente, in contrasto con quanto dispone la Legislazione
comunitaria vigente, in materia di abuso di contratti a tempo
determinato negli Stati membri dell’Unione Europea.
Cari
dipendenti pubblici precari, stiamo parlando, nel totale disinteresse
delle Istituzioni regionali e del solito sindacalismo duale, di
servizi erogati ai cittadini, che
di norma sono già stabiliti dalla Legge, di una quantità di lavoro
prevedibile e programmabile
e dunque di un organico che dovrebbe essere quello necessario sulla
base di una corretta organizzazione amministrativa.
Tuttavia,
alla luce di quanto testé affermato, il
precariato degli Enti e della Regione Siciliana rappresenta nel 2014
un unicum nel
panorama del lavoro pubblico in Italia,
dove i contratti a tempo determinato, di durata limitata nel tempo
sono stati negli anni (ormai sono 15 – 16 anni di proroghe al 2016,
dopo l’entrata in vigore dell’articolo 4 della Legge
30 ottobre 2013 n. 125
cd. Legge D’Alia)
continuativamente e reiteratamente prorogati dal 2000, in violazione
della Direttiva n.70/1999/CE del 28 giugno 1999.
A
tal proposito, quindi, bisogna rimarcare, soprattutto ai soggetti
deboli ed abusati – dipendenti pubblici precari- che la
mancata applicazione o la non corretta applicazione del diritto
comunitario alla fattispecie concreta dei contratti a tempo
determinato, stipulati dalla stragrande maggioranza degli Enti e
dalla Regione, nel qual caso i precari decidessero di agire in
giudizio nei confronti del datore di lavoro pubblico che ha abusato
della loro condizione precaria con la reiterazione dei contratti a
termine, ciò
potrebbe in un futuro imminente comportare pesantissime conseguenze
sanzionatorie per gli stessi Enti e per la Regione Siciliana.
A
tal riguardo, la stessa Corte di Giustizia dell’ Unione Europea ha
precisato che il principio per il quale uno Stato membro, è
obbligato a risarcire i danni arrecati ai soggetti lavoratori
precari, per violazione del diritto dell’Unione ad esso imputabile,
vale con riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del medesimo
diritto, qualunque sia l’organo di tale Stato la cui azione od
omissione abbia dato origine alla trasgressione.
Occorre
aggiungere, inoltre, che quando una violazione del diritto
dell’Unione è commessa da un Giudice nazionale, le norme di cui
agli articoli 258-260 del TFUE
(Trattato di funzionamento dell’Unione Europea),
prevedono la facoltà di adire la Corte di Giustizia, affinché venga
accertata una siffatta violazione nei confronti dello Stato membro
interessato.
Peraltro,
gli obblighi
comunitari per lo Stato italiano
e l’attuazione delle sentenze
della Corte di
Giustizia, anche in sede di interpretazione pregiudiziale, oltre
all’esecuzione delle stesse decisioni
della Corte
Europea, trovano un preciso presidio nella Legge
24 dicembre 2012 n. 234,
in materia di attuazione della normativa e delle politiche
dell’Unione Europea. In particolare, l’articolo 1 (finalità)
e l’articolo 43 (diritto
di rivalsa dello Stato nei confronti di Regioni o altri Enti Pubblici
responsabili di violazioni del diritto comunitario),
non lasciano spazi ad alibi interpretativi, che tendano a vanificare
o a ridurre la portata e l’efficacia dell’interpretazione
comunitaria nell’Ordinamento statale italiano.
Ritornando
ora alla reiterazione dei contratti a tempo determinato sin dall’anno
2000, il
comportamento illecito tenuto dagli Enti Locali ed Istituzionali e
dalla Regione, sul quale incombe il silenzio della politica e del
sindacato duale, ha
reso la vita di tanti dipendenti pubblici precari priva delle
necessarie tutele, quali la sicurezza del posto di lavoro, la
possibilità di crescere nella professionalità e la possibilità di
avere lo stesso trattamento giuridico ed economico riconosciuto ai
dipendenti strutturati o di ruolo.
Pertanto,
a rigore di applicazione della Legislazione comunitaria, statale di
recepimento, regionale e contrattuale vigente, in
Sicilia il comportamento illecito tenuto da tutti gli Enti Pubblici,
ha reso privo di quelle tutele necessarie il lavoro dei dipendenti
pubblici precari, e che la
sanzione consequenziale a tali comportamenti deve essere tesa a
restaurare i lavoratori dei diritti fondamentali loro lesi e dei
danni ricevuti in tanti anni di vita lavorativa.
Infatti,
se ci trovassimo davanti un datore
di lavoro privato,
non ci sarebbe dubbio sulla sanzione in caso di reiterazione dei
contratti a termine: consisterebbe nella conversione del contratto a
tempo determinato in contratto a tempo indeterminato e nella
conseguente sanzione economica. Siamo, invece, davanti ad un datore
di lavoro pubblico,
considerato immune dalla possibilità di subire la conversione del
contratto a tempo indeterminato, avendo l’onere di assumere per
concorso, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione.
Ma,
se analizziamo con la serenità necessaria la Costituzione e la
legislazione vigente in materia di assunzioni nella Pubblica
Amministrazione regionale, ci accorgiamo che la prima violazione a
detto articolo va ascritta proprio alla Pubblica Amministrazione
stessa e a tutti gli Enti Pubblici della Regione Siciliana. Reiterare
una serie di contratti a tempo determinato per tantissimi anni ad una
serie di persone, significa coprire posti in dotazione organica per
un lungo periodo, eludendo proprio la regola del concorso pubblico.
E’ quindi la
stessa Pubblica Amministrazione che viola la regola del concorso
pubblico e la elude sistematicamente ricorrendo ai contratti a
termine e poi la invoca, per evitare le sanzioni previste in caso di
abusi della Legislazione comunitaria vigente.
La
stessa regola del
concorso pubblico,
tanto decantata, non viene affatto violata, posto che l’articolo 97
della Costituzione prevede espressamente la possibilità per il
Legislatore ordinario di derogare
al principio
della concorsualità.
Deroga non necessaria, poiché l’articolo
36 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001 n. 165, come sostituito
dall’articolo 49 del Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112,
convertito in Legge 6 agosto 2008 n. 133, prevede
che anche le assunzioni a tempo determinato, siano effettuate nel
rispetto delle procedure di reclutamento di cui all’articolo 35 del
Decreto Legislativo
n. 165/2001, in
osservanza proprio dell’articolo 97 della Costituzione.
Bisogna
rilevare, inoltre, con grande onestà intellettuale prima che con
convinzione giuridica, come l’articolo
36 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001 n. 165,
che salva la Pubblica Amministrazione dalla conseguenza sanzionatoria
della trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in
caso di violazioni di norme imperative, sia
precedente
all’emanazione del Decreto
Legislativo 6 settembre 2001 n. 368,
che disciplina la materia del contratto a tempo determinato, in
recepimento della Legislazione comunitaria di cui alla Direttiva n. 70/1999/CE.
Infatti,
il Decreto
Legislativo 6 settembre 2001 n. 368,
che regolamenta in Italia l’istituto del contratto a termine,
costituisce norma
abrogatrice implicita
della precedente, in particolare dello stesso articolo 36 del
Decreto Legislativo 30 marzo 2001 n. 165. Non
si comprende, alla luce del diritto comunitario vigente in materia,
che non fa alcuna differenza tra datore di lavoro pubblico e/o
privato, come si consideri l’articolo
36 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001 n. 165
norma speciale, senza peraltro motivare perché lo sarebbe, visto che
questo si trova all’interno di un Decreto Legislativo di carattere
generale sul pubblico impiego.
La
sanzione della
conversione a tempo indeterminato dei contratti,
quindi, non incontrerebbe ostacoli in materia di violazioni di norme
imperative, e sarebbe giustificata ampiamente anche alla luce del
principio comunitario di uguaglianza e non discriminazione tra
dipendenti pubblici a tempo indeterminato e/o a tempo determinato, in
servizio negli Stati membri dell’Unione Europea.
Alla
luce di quanto sopra evidenziato, qualora un Comune, un qualsiasi
Ente Pubblico e/o Istituzionale ricadente nel territorio regionale,
la stessa Regione Siciliana, abbiano utilizzato rapporti
di lavoro a tempo determinato oltre il limite massimo di 36 mesi
consentito dalla Legge,
il divieto di
costituzione di un
rapporto a tempo indeterminato non
troverebbe applicazione,
perché nella fattispecie non vi sarebbe alcuna violazione di
disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di
lavoratori. Il limite dei 36 mesi, non riguarderebbe l’assunzione
ed i vizi propri del contratto individuale di lavoro, dato che la
sanzione per il suo superamento, cioè la costituzione automatica di
un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sarebbe esterna al
contratto di assunzione, di per se legittimo, ed avrebbe lo scopo di
prevenire e reprimere l’abusiva reiterazione delle assunzioni a
tempo determinato.
Infatti,
proprio per evitare il precariato a vita nel pubblico impiego, il
Legislatore nazionale costretto dall’Europa, avrebbe previsto un
arco temporale di 36 mesi, superato il quale il rapporto di lavoro si
considera a tempo indeterminato, indipendentemente dalla legittimità
o meno del termine apposto al contratto stesso (
articolo 1, comma 40 della Legge 24 dicembre 2007 n. 247).
Ora
bisogna che i precari, tutti i precari, in massa, chiedano alla
Magistratura del lavoro siciliana di esprimersi su questo abuso
colossale di tutti gli Enti nei confronti di dipendenti pubblici
discriminati, visto che la Politica regionale del rinvio non vuole
affrontare seriamente questo fenomeno eccezionale e dalla stessa
creato per il consenso elettorale, con strumenti eccezionali.
Dott. Gaetano Aiello
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