giovedì 8 maggio 2014

STUDIO GALLEANO - Art. 32 collegato lavoro – udienza in Corte costituzionale – sentenza Carratù della Corte europea: pronuncia interpretativa (e negativa) della Corte di Cassazione – richiesta di chiarimenti alla Corte europea


Art. 32 collegato lavoro – udienza in Corte costituzionale – sentenza Carratù della Corte europea: pronuncia interpretativa (e negativa)  della Corte di Cassazione – richiesta di chiarimenti alla Corte europea

Il 15 aprile 2014 si è tenuta in Corte costituzionale l’udienza di trattazione per la questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Roma con riferimento all’art. 32 della legge 183/2010 (c.d. Collegato lavoro) che aveva come specifico oggetto la violazione del principio di parità di cui all’art. 3 della Costituzione nella parte in cui, prevedendo – e quindi parificando – l’obbligo di impugnazione in termini brevi per diverse fattispecie (contratti a  termine, contratti di somministrazione, modificazioni del datore di lavoro, trasferimenti, ecc.) dispone però la applicazione retroattiva a tutti i giudizi in corso per i soli contratti a  termine, imponendo l’impugnazione anche per quelli conclusi negli anni precedenti[1].
Lo svolgimento della discussione sarà visibile sul sito della Corte (www.cortecostituzionale.it, lavori, udienze pubbliche) nel giro di pochi giorni. La causa trattata, dall’avv. De Michele e da chi scrive, era la n. 3.
Nel frattempo deve segnalarsi l’intervento della Corte di cassazione che interpreta la sentenza Carratù della Corte europea in chiave del tutto negativa.
Con una serie di sentenze, tra cui la 7685-14 (Pres. Miani Canevari, rel. Bandini), della quale l’avv. Roberto Rizzo ci ha cortesemente notiziato, la Corte interpreta in modo a dir poco discutibile la pronuncia di Lussemburgo ( scarica ).
Nella pronuncia citata si afferma in primo luogo che non sarebbe certa una riduzione del risarcimento del danno, poiché l’indennità prevista dall’art. 32 è insensibile al c.d. aliunde perceptum, ovvero ai redditi altrimenti percepiti dal lavoratore nel periodo intercorrente tra la cessazione del contratto e la sentenza, redditi che invece possono detrarsi dal risarcimento calcolato con i criteri precedenti che, in ipotesi, avrebbe potuto essere interamente assorbito dai guadagni medio tenore percepiti. 
Il ragionamento è invero del tutto ipotetico e comunque completamente slegato dalla realtà, poiché è noto che i processi, salvo lodevoli eccezioni, durano ben più di un anno e che è rarissimo che il precario riesca a trovare immediatamente un lavoro e, soprattutto, che lo mantenga sino alla sentenza.
Del resto è noto che la norma ha avuto quale scopo principale quello di far recuperare i soldi a Poste italiane, poiché i risarcimenti reali sono spesso ammontati a decine di migliaia di euro, legittimamente percepiti sulla base della normativa all’epoca in vigore e che ora migliaia di dipendenti di Poste si trovano costretti a restituire[2].
Ma quello che più rende perplessi è l’interpretazione che la sentenza della Corte da della pronuncia Carratù della Corte europea.
La Corte di Cassazione infatti ritiene che la Corte di Lussemburgo avrebbe avallato la piena legittimità dell’art. 32 poiché, dopo avere affermato la possibilità di stabilire, in caso di cessazione del contratto a termine illegittimo, misure risarcitorie diverse da quelle previste per il lavoratore ingiustamente licenziato nel corso di un rapporto tempo indeterminato, avrebbe ritenuto non necessario rispondere rispondere agli altri quesiti (il primo, il secondo, il terzo ed il sesto), perché assorbiti.
Se si considera l’intera sentenza e quanto scritto in questo sito[3] in merito alla Carratù, la posizione della Cassazione pare del tutto incomprensibile.
E’ vero, infatti, che diveniva inutile, dopo avere ritenuto possibile la differenziazione del risarcimento nelle due ipotesi considerate, esaminare il primo quesito, ma non è affatto vero per quanto riguarda il sesto quesito che, come si è scritto, riguardava la applicazione retroattiva ai giudizi in corso della nuova indennità e dunque avrebbe necessariamente dovuto essere affrontato perché svolto in via subordinata proprio nell’ipotesi in cui la Corte avesse ritenuto, come ha ritenuto, la possibilità di differenziazione della misura del risarcimento.
A ciò si aggiunga che non si comprende il motivo, già ampiamente spiegato su questo sito, per cui la Corte europea abbia ritenuto di rispondere preliminarmente (e positivamente) al settimo quesito (Poste è Stato?), risposta del tutto inutile se fosse vera la interpretazione data dalla Cassazione, perché la precisazione si presentava del tutto superflua.
Insomma, sembra che, per la Cassazione, i giudici di Lussemburgo siano degli sprovveduti che fanno delle sentenze senza né capo né coda, pronunciandosi su questioni inutili e omettendo l’esame di altre, pur decisive per la controversia. Senza contare la discutibile scelta di esaminare la pronuncia della Corte europea omettendo parti rilevanti della sentenza.
Su questa questione si tornerà al più presto: nel frattempo l’avv. Francesco Pasquariello, di Napoli, che difende un altro lavoratore in un procedimento analogo a quello della Carratù (D’Aniello, causa C-89/13), promosso sempre dal Tribunale di Napoli a seguito delle modifiche “interpretative” apportate dalla legge Fornero all’art. 32, procedimento attualmente sospeso ed in via di decisione, ha già provveduto a trasmettere la sentenza della Cassazione a Lussemburgo notiziando la Corte europea dell’interpretazione data dalla Corte italiana alla Carratù ed invitandola a fornire ulteriori chiarimenti in merito, vista la posizione assunta dal giudice nazionale.
L’avv. Pasquariello, che ringraziamo per la cortesia, ci ha concesso la pubblicazione dell’istanza ( leggiscarica ).
Per chi fosse interessato ad ulteriormente approfondire la questione, si rinvia al saggio dell’avv. Vincenzo De Michele, pubblicato sul sito “www.cde.unict.it” dell’Università di Catania, settore scienze giuridiche, Gennaio, 2014 n. 60: “Il dialogo tra Corte di giustizia, Corte europea dei diritti dell’uomo, Corte costituzionale e Corte di Cassazione sulla tutela effettiva dei diritti fondamentali dei lavoratori a termine: la sentenza Carratù-Papalia della Corte del Lussemburgo”.
Roma, 16 aprile 2014
Sergio Galleano

 
[2] Ed infatti, come si potrà notare dalla discussione in Corte costituzionale, le difese della norma da parte di Poste erano incentrate, principalmente, sulla natura finanziaria della norma, ovvero sull’esigenza di salvare il bilancio pubblico.

Fonte: http://www.studiogalleano.it/Coll_Lav_art32_04-14.htm#_ftn3

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