ATTUALITÀ
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SPENDING REVIEW: MANTENERE I
DIPENDENTI PRECARI AUMENTA LA SPESA PUBBLICA
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(28/01/2014) - Tenere precarizzato il rapporto di
lavoro di centinaia di migliaia di dipendenti può costare molto caro. Lo sa
bene lo Stato italiano, che tra il 2007 e il 2012 ha stabilizzato quasi
25mila lavoratori del servizio sanitario nazionale e circa 28mila appartenenti
alle regioni ed alle autonomie locali. Ciò ha comportato un risparmio
immediato sui costi sostenuti dall’amministrazione, rispettivamente, di 80 e
285 milioni di euro. Offrendo un esempio positivo su come sia possibile
adottare una buona politica di spending review, visto che si è arrivati a
ridurre di un terzo le spese sostenute appena cinque anni prima. E, nel
contempo, si è dato seguito a quanto previsto dalla normativa europea vigente
(in particolare dalla direttiva 1999/70/CE) sul fronte della stabilizzazione
del personale dipendente precario con almeno tre anni di servizio alle
spalle.
Purtroppo, però, il buon esempio adottato per i dipendenti di sanità e
regioni non trova riscontro nella scuola. Deve nello stesso arco temporale il
numero di dipendenti stabilizzati si è fermato a poche centinaia. Ciò ha
comportato che la “Spesa per il tempo determinato” del comparto Scuola – si
legge nel rapporto annuale del Dipartimento della Ragioneria Generale dello
Stato - è passata dai 512,69 milioni di euro del 2007 agli 861,10 del 2012.
Facendo quindi registrare – unico caso in controtendenza nella PA - un
incremento del 68%, pari a circa 350 milioni di euro, rispetto alla spesa per
le supplenze sostenuta cinque anni prima.
Ma sempre nel quinquennio 2007-2012 tutta la spesa totale del settore
scolastico ha fatto registrare un sostanzioso incremento. Il sempre più
rallentato turn-over ha infatti lasciato in servizio un sempre numero
maggiore di docenti over 50. Tanto è vero che oggi oltre il 60 per cento degli
insegnanti italiani è in questa fascia di età. Aggravando ulteriormente le
“casse” dello Stato, visto che grazie ai gradoni stipendiali, coloro che
detengono un numero maggiore di anni di servizio percepiscono uno stipendio
maggiorato rispetto ai colleghi neo-assunti. E ciò comporta, oltre che un
pericoloso ‘appesantimento’ anagrafico del corpo docente italiano per il
sempre maggior gap rispetto agli alunni, anche un aggravio per i conti dello
Stato.
Eppure la possibilità per svecchiare in poco tempo la categoria ci sarebbe:
nel 2012 sono infatti stati 140mila, quasi la metà di tutti quelli della
pubblica amministrazione, i dipendenti della scuola assunti a termine. Mentre
la Ragioneria Generale dello Stato ha conteggiato “solo” altri 167mila precari
in forza ad altri comparti (con presenze maggiori nelle Regioni ed autonomie
locali, quasi 53mila posti, e nelle forze armate, oltre 39mila). La
consistenza dei docenti sul totale dei precari della PA sfiora quindi la metà
del contingente complessivo. E rimane sempre alta la percentuale di comparto
Scuola rispetto al personale di ruolo: attorno al 14%.
“Dunque quasi la metà dei lavoratori non a tempo indeterminato del pubblico
impiego (circa il 46%) – spiega il Dipartimento della Ragioneria generale - è
costituito da personale legato al mondo dell’istruzione in cui una quota di
personale non stabile è necessaria a coprire le fisiologiche oscillazioni nel
numero di cattedre che si formano ogni anno o per coprire le cattedre che
restano scoperte, come nel caso delle sostituzioni per maternità, evento
tutt’altro che raro vista la composizione di genere del comparto”.
Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, non
ha dubbi: “oltre che disattendere le richieste dell’Europa sugli obblighi di
stabilizzazione del personale con almeno 36 mesi di servizio svolto, lo Stato
italiano dà dimostrazione di come sia possibile attuare una politica di
spending review alla rovescia. Prima la politica dei tagli all’istruzione e
alla formazione, iniziata con l’articolo 64 della Legge 133/2008, e
successivamente quelle sull’inasprimento del rapporto a tempo determinato,
come nel caso della Legge 106/2011, non hanno fatto altro che rendere più
rossi i conti della pubblica amministrazione”.
“Disattendendo quindi clamorosamente i risultati auspicati dal legislatore:
le spese per il personale dipendente, che si volevano ridurre attraverso i
provvedimenti di calmierizzazione della spesa, hanno addirittura fatto
registrare un importante incremento della spesa di comparto. Confermando che
nella Scuola, dove comunque il servizio va garantito, la politica dei tagli
dei posti di lavoro ad oltranza non paga: oltre a produrre disservizi ad
alunni e famiglie, comportando scarsa continuità didattica e progettualità,
deprime l’economia generale e – conclude Pacifico – ora la Ragioneria dello
Stato ci dice che fa aumentare la spesa pubblica”.
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Fonte: http://www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=77077&idSezione=1
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