di Vincenzo Brancatisano
Si attendono le importanti pronunce della Corte Costituzionale e del Tribunale di Napoli e della Corte di Cassazione e ovviamente le centinaia di sentenze di primo e secondo grado che coinvolgono i precari della scuola.
Risarcimento o immissione in ruolo?
Dopo il parere dell’avvocato Walter Miceli, che ha patrocinato alcuni ricorsi presso la Corte Ue, per conto dell’Anief (
Precari e sentenza europea: assunzioni, risarcimenti, nuovo reclutamento ) abbiamo intervistato un altro legale Anief, l’
Avv. Vincenzo De Michele, che ha patrocinato alcuni ricorsi che hanno portato alla sentenza Mascolo della Corte di Giustizia emessa a Lussemburgo il 26 novembre scorso.
Avvocato De Michele, quali sono le prime impressioni dopo le due sentenze?
“Siamo rimasti molto perplessi, perché alcuni giudici nazionali vogliono dare una risposta sulla questione diversa da quella che emerge dalla sentenza della Corte di giustizia, risposta che in questo momento solo tre giudici possono dare: il Tribunale di Napoli, la Corte di Cassazione e la Consulta. Pare comunque che nel processo davanti al Tribunale di Sciacca l’attore sia nel frattempo stato immesso in ruolo e dunque non poteva certo ottenere la trasformazione giudiziale del contratto da tempo determinato a rapporto a tempo indeterminato, che aveva già ottenuto in via amministrativa. In ogni caso, i giudici devono stare attenti perché espongono lo Stato italiano ad azioni di risarcimento dei danni, con diritto di rivalsa nei confronti degli stessi magistrati che non hanno applicato correttamente il diritto comunitario”.
Si spieghi meglio.
“Prima che il 26 novembre scorso andassimo alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di Lussemburgo (CGUE) ad ascoltare il dispositivo della sentenza Mascolo, il giorno prima ero in Cassazione assieme all’avvocato Sergio Galleano per discutere alcune cause sul precariato pubblico regionale. Il Tribunale in primo grado non aveva stabilizzato i rapporti di lavoro alle dipendenze per moltissimi anni di un ente pubblico locale, ma aveva riconosciuto solo 20 mensilità come risarcimento del danno, in applicazione analogica dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori. La Corte d’Appello di Torino aveva riformato la sentenza del Tribunale e aveva dichiarato la nullità dei contratti, senza liquidare alcun risarcimento e senza dichiarare la richiesta trasformazione del contratto. In buona sostanza la Corte d’Appello di Torino aveva deciso, come hanno fatto alcuni tribunali tra cui quello di Torino in questi giorni, di interpretare da sé il diritto comunitario e aveva richiamato a sostegno del rigetto della tutela la sentenza della Cassazione 392/2012. In Cassazione io e Galleano abbiamo ribadito alla Cassazione che la sentenza della Corte d’Appello di Torino era in totale contrasto con la giurisprudenza della CGUE e andava integralmente riformata anche perché, abbiamo anticipato alla Cassazione, il giorno dopo (come pure poi avvenne, ndr) la CGUE con la sentenza Mascolo avrebbe ribadito i principi da essa stessa già enunciati nella sentenza Carratù e nell’ordinanza Papalia, decisioni entrambe rese il 12 dicembre 2013. In particolare abbiamo anticipato alla Cassazione che, come aveva già fatto l’Avvocato generale Maciej Szpunar il 17 luglio 2014, la CGE avrebbe invitato i giudici nazionali ad applicare l’art. 117 comma 1 della Costituzione e il decreto legislativo n.368/2001, attuativo della direttiva 1999/70/CE”.
Ecco, si soffermi sull’art. 117 della nostra Costituzione. Si parla sempre dell’art. 97 comma 3, che richiede il concorso pubblico per l’accesso al ruolo. Ma la CGUE punta invece sull’art. 117 che impone invece il rispetto del diritto comunitario da parte di Stato e Regioni quando legiferano.
“Esatto. La CGUE non ha richiamato l’art. 97 comma 3 per pudore e rispetto nei confronti dei Giudici nazionali, così come non lo aveva richiamato nelle precedenti decisioni sul precariato pubblico italiano, Marrosu-Sardino, Vassallo, Affatato, Papalia e Carratù. Per una ragione evidente e letterale, in quanto l’art.97 comma 3 prevede sì l’accesso alle pubbliche amministrazioni tramite concorso, ma “salvo i casi stabiliti dalla legge”.
Cioè il legislatore statale ha ampia discrezionalità in materia, che ha esercitato ad esempio nelle due leggi di stabilizzazione n.296/2006 e n.244/2007, in cui era stata inserita anche la soluzione del precariato storico della scuola, poi non attuata per responsabilità dell’ex Ministro Gelmini. Quindi il requisito del pubblico concorso non è irrilevante in sé, ma diventa irrilevante in relazione alle cause: sostiene implicitamente la CGUE in varie sentenze che l’art. 97 non si deve applicare in assoluto al pubblico impiego poiché quel comma richiama anche i casi previsti dalla legge. E il decreto legislativo 368 prevede i casi in cui si deve accedere ai posti stabili anche nella pubblica amministrazione, in caso di abusivo utilizzo dei contratti a termine.
La Corte ha inoltre detto ai giudici nazionali al punto 11 e 14 della sentenza: voi dovete applicare l’art 117 comma 1 della Costituzione, che prevede che il legislatore statale e regionale debbano adempiere agli obblighi comunitari, cioè dovete applicare il decreto 368/2001 attuativo della Direttiva 70/99, che ha peraltro copertura costituzionale”.
Ma allora quando si applica, nella pratica, l’art. 97?
“L’art. 97 comma 3 interviene quando l’accesso al pubblico impiego a tempo determinato sia avvenuto in frode alla legge”.
Faccia un esempio.
“Si pensi a un preside che fa scavalcare arbitrariamente il docente avente diritto da un altro che non ne abbia titolo. Al di fuori di casi come questo, anche nella scuola, la CGUE, poiché le procedure di reclutamento sono legittime, ha stabilito che il 97 non c’entra nulla. Si applicano soltanto l’art. 117 e l’art. 5 del decreto 368, e, in particolare, il comma 4-bis che prevede che dopo i 36 mesi di servizio anche non consecutivo si costituisce un rapporto di lavoro a tempo indeterminato”.
Che non ci voglia il concorso significa che si può entrare nei ruoli senza concorso e senza abilitazioni?
“La domanda avrebbe avuto una risposta secca negativa se lo Stato avesse fatto i concorsi. Le graduatorie permanenti erano finalizzate a una cadenza triennale di espletamento dei concorsi. La CGUE dice: caro Stato, hai creato questo sistema e poteva funzionare se tu avessi fatto i concorsi. Ma, come ha sottolineato la stessa Corte costituzionale nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale, se i concorsi non li fai e dunque non crei neppure un circuito continuo di abilitazioni, e fai i pas e i tfa e non consenti di entrare nelle gae, allora che significato ha l’abilitazione? E’ saltato tutto il sistema. La Corte Ue segue il ragionamento della Consulta: fai bene a usare il concorso ma tu i concorsi non li hai fatti e dunque non ti puoi difendere dicendo che i docenti non hanno fatto i concorsi”.
Pare di capire quindi che anche chi non ha l’abilitazione può secondo lei aspirare a entrare in ruolo.
“Sì, se ci sono i presupposti della norma e almeno i 36 mesi che rappresentano un presupposto ragionevole. In Francia ci vogliono 6 anni per accedere al pubblico impiego stabile, in Germania basta un solo contratto a tempo determinato privo di ragioni oggettive, come è successo nel caso Jansen in Corte di giustizia per circa 100.000 lavoratori precari pubblici assunti sulla base di una clausola generale di natura “finanziaria” come la normativa sul reclutamento scolastico. E la Germania ha ancora la tripla A, mentre l’Italia è vicina al collasso”.
Ci sono molte incertezze tra i docenti in merito al computo dei 36 mesi. Trentasei mesi significa molto di più di tre anni per chi ha il contratto di dieci mesi cioè fino al 30 giugno. Luglio e agosto, mesi non lavorati, potrebbero in qualche modo essere riconosciuti come mesi lavorati?
“Anche i due mesi estivi devono essere conteggiati, se il posto risultasse vacante, come mi pare sia emerso anche nella sentenza del Tribunale di Sciacca. Peraltro, l’amministrazione, su cui grava l’onere della prova, non sarebbe in grado di dimostrare che la cattedra era coperta. Ma c’è di più. Il docente può fornire come prova a proprio favore il documento della Buona scuola del Governo, laddove ammette che l’organico di fatto è una fictio. E’ una confessione. Come quella che ha fatto nella causa Affatato l’avvocatura dello Stato, quando ad aprile 2010 affermò in Corte di giustizia per iscritto che il d.lgs. n.368/2001 si applicava anche alle pubbliche amministrazioni, soprattutto l’art.5, comma 4-bis”.
Se il concorso pubblico non è uno scoglio insuperabile può succedere che chi abbia avuto un incarico superiore a 36 mesi possa chiedere un inquadramento superiore?
“La risposta è sì. Sono interessati, tra gli altri, i docenti incaricati di reggenza in assenza di preside”.
I docenti possono diventare dirigenti per abuso di contratto a termine come reggenti?
“E’ così. Tra l’altro un importantissima e recente sentenza del Consiglio di Stato curata dagli avv.ti Miceli e Galleano ha consentito l’accesso stabile al ruolo di dirigenti scolastici di alcuni docenti precari da oltre cinque anni, proprio per la perequazione del servizio e per il superamento, in quel caso, del concorso riservato originariamente solo ai docenti a tempo indeterminato”.
Anche nelle altre pubbliche amministrazioni può succedere altrettanto?
“Certamente”.
Ma allora perché il sistema normativo sanzionatorio da lei descritto e richiamato dalla CGUE non è stato mai applicato alla scuola? Ricordiamo che fino a poco tempo fa i contratti collettivi della scuola firmati dai sindacati recitavano la formula: “In nessun caso il rapporto di lavoro si trasforma da tempo determinato a tempo indeterminato”.
“Beh, no, il CCNL del 2007 anzi prevedeva (e prevede) la possibilità di trasformare a tempo indeterminato i rapporti di lavoro a termine “nel rispetto delle leggi vigenti”, cioè del d.lgs. n.368/2001. E’ stato questo il motivo per cui FLC CGIL e GILDA UNAMS si sono costituiti nella causa Racca per affermare l’applicazione del CCNL di Comparto, contro la decisione della Cassazione n.10127/2012. In realtà ci sono due norme, una del 2009 (art.4, comma 14-bis, legge n.124/1999) e una del 2011 (art.10, comma 4-bis, d.lgs. n.368/2001), che non consentono la trasformazione del contratto nella scuola, fino alla formale immissione in ruolo. Queste norme sono riportate nella sentenza Mascolo”.
E quindi nel 2011 il legislatore è intervenuto sul decreto 368/2001, recante attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato anch’esso applicabile al pubblico impiego, cercando di disattivarne le tutele. E’ così?
“Proprio così. Il legislatore del 2011 con la legge 70/2011 ha escluso dalle tutele il personale della scuola modificando quel testo con la formulazione contenuta nel comma 18 dell’art. 9, secondo cui ‘Sono altresì esclusi dall’applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni caso non si applica l’articolo 5, comma 4-bis, del presente decreto’”.
Pare di capire dunque che la tutela era prevista fino al 30 giugno 2009. Gli interessati possono stare tranquilli.
“Insisto, bisognerebbe distinguere le situazioni in cui i 36 mesi sono maturati al 1 luglio 2009, data di emanazione del decreto legge 78 poi convertito nella legge 3 agosto 2009, n. 102. Per questi contratti il giudice dovrebbe trasformare il contratto perchè le norme intervenute successivamente non si applicano al passato, diversamente da quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza n.10127/2012, sconfessata dalla sentenza Mascolo. Quando invece i 36 mesi sono stati superati indipendentemente da abilitazione – la Corte di Lussemburgo non poteva scendere nel campo dell’abilitazione – dopo il 1 luglio 2009 si pone il conflitto tra la sanzione della conversione e la norma che ne impedisce l’applicazione (art. 4, comma 14-bis, legge 124/1999)”.
In questi casi che cosa succede?
“Il giudice o disapplica la normativa oppure solleva questione di costituzionalità. Questo per entrambe le norme. Guardi, dal 2009 e fino al 2013 il legislatore non ha fatto altro che impedire la tutela dei lavoratori precari della scuola eliminando sanzioni che portino alla trasformazione del contratto. Allora o si fa un pacchetto natalizio e si eliminano dall’ordinamento con la declaratoria di illegittimità costituzionale a seguito di rinvio alla Corte costituzionale che nessun Giudice ha ancora promosso, come peraltro la stessa Consulta aveva invitato a fare esplicitamente già con l’ordinanza 206 del 2013, oppure il giudice è autorizzato a non applicare queste norme e a garantire la piena tutela del lavoratore con la stabilità lavorativa. La terza soluzione non c’è a meno che si voglia ammettere che il giudice del lavoro non sia in grado culturalmente e giuridicamente a rimuovere gli abusi nei contratti nella scuola pubblica. Oppure c’è la terza soluzione, che porta sempre alla stabilizzazione lavorativa: il Giudice del lavoro si dichiara incompetente ad assicurare la tutela, abdicando dalla funzione giurisdizionale che gli è stata affidata, per cui ci si rivolge al Tribunale di Roma, stavolta contro lo Stato italiano, per chiedere il risarcimento del danno in forma specifica consistente nella ricostruzione della carriera con riconoscimento dell’anzianità come se fosse un unico rapporto a tempo indeterminato e con l’immissione in ruolo alla maturazione dei requisiti. Quindi quello che non può entrare dalla porta, entra per forza dalla finestra. La CGUE esclude il risarcimento del danno di cui art. 36 comma 5 del 165, anche perché i contratti sono legittimi, cioè stipulati “geneticamente” senza alcuna violazione di legge, anzi nel rispetto della legge.
Ripeto, per i rapporti nati dopo il 1 luglio 2009 bisogna far dichiarare illegittima sia la norma del 2009 e sia del 2011 perché impediscono quella tutela ai lavoratori pubblici. L’unica strada è quella canonica, cioè la declaratoria di illegittimità della Corte costituzionale, dopo di che gli articoli modificati vanno invece applicati. In ogni caso, le due soluzioni erano state già chiaramente indicate nella relazione n.190 del 24 ottobre 2012 dell’Ufficio del Massimario della Cassazione, che sia la Corte costituzionale nell’ordinanza n.206/2013, sia la Commissione europea nella procedura di infrazione n.2124/2010 sia la Corte di giustizia nella sentenza Mascolo hanno seguito nelle sue conclusioni”.
Perché finora non è successo?