nel pubblico impiego e nel privato
È coinvolto non solo tutto il pubblico impiego nella storica sentenza emessa oggi dalla Corte di Giustizia [1] (e di cui, posta l’importanza, pubblichiamo qui sotto il testo integrale). Anche il comparto privato viene investito da quella che si presenta essere una vera e propria rivoluzione per il diritto al lavoro. Molto più di qualsiasi Job Act. La normativa italiana sui contratti di lavoro a tempo determinato – scrive la Corte Comunitaria – è contraria al diritto dell’Unione Europea. E se anche la sentenza si riferisce ai supplenti nelle scuole, il principio è applicabile a tutte le pubbliche amministrazioni - e addirittura ai lavoratori del settore privato - che impiegano forza lavoro con contratti di precariato puntualmente rinnovati e mai stabilizzati. Secondo i giudici di Lussemburgo, il rinnovo illimitato dei contratti a termine per assicurare le supplenza nelle scuole viola i principi comunitari perché non contiene alcun meccanismo per evitare l’abuso nel ricorso ai “td” nel ministero dell’Istruzione. Ora si aprono le porte per migliaia di risarcimenti: un buco nelle casse dello Stato che può arrivare fino a 2 miliardi di euro, per i quali scatta la corsa alla ricerca di copertura economica. Sono infatti 250mila i precari che possono chiedere la stabilizzazione e i rimborsi, oltre ovviamente agli scatti di anzianità maturati tra il 2002 e il 2012 dopo il primo biennio di servizio e le mensilità estive su posto vacante. Lo stop coinvolge anche i cosiddetti “concorsi-miraggi” indetti dalla pubblica amministrazione, che prima bandisce le gare e poi non procede alle assunzioni o lo fa con contratti “a tempo” rinnovati vita natural durante. A detta della Corte Ue, la normativa italiana deve prevedere un limite alla durata massima totale dei contratti a tempo o il numero dei loro rinnovi. I principi comunitari, infatti, non ammettono disposizioni che, in attesa che si svolgano i concorsi per assumere personale di ruolo delle scuole statali, autorizzi il rinnovo di contratti a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti e di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per il reclutamento annunciato ed escludendo il risarcimento del danno subito a causa del rinnovo del “td”. Lavoratori italiani rimasti sino ad oggi senza garanzie Ma la Corte di Giustizia si spinge ben oltre il comparto scuola pubblica. Infatti, l’accordo quadro sui contratti a termine si applica a tutti i lavoratori, senza distinguere in base alla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro o al settore di attività interessato. Le norme Ue, dunque, valgono per tutti i lavoratori – docenti o collaboratori amministrativi – assunti per effettuare supplenze annuali nelle scuole pubbliche. Insomma, per chi ancora non l’avesse capito, si tratta di una vera e propria rivoluzione! Proprio per evitare il ricorso a contratti a termine senza limiti per numero e durata, l’accordo quadro impone agli Stati membri di prevedere l’indicazione delle ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo dei contratti o la determinazione della durata massima totale dei contratti o del numero dei loro rinnovi. E in caso di abuso deve essere applicata una misura sanzionatoria che sia proporzionata, effettiva e dissuasiva. In Italia, invece, tali garanzie del lavoratore sono state sempre puntualmente eluse. Il termine di immissione in ruolo dei docenti nell’ambito di tale regime è variabile e incerto, poiché essa dipende da circostanze aleatorie e imprevedibili. Ed ora, si apriranno le cause contro lo Stato italiano. E di ciò, come sempre, a pagare saranno, in definitiva, i contribuenti
. Corte di Giustizia UE, Terza Sezione, sentenza 26 novembre 2014, cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13 (*) «Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – Successione di contratti di lavoro a tempo determinato – Insegnamento – Settore pubblico – Supplenze di posti vacanti e disponibili in attesa dell’espletamento di procedure concorsuali – Clausola 5, punto 1 – Misure di prevenzione del ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato – Nozione di “ragioni obiettive” che giustificano tali contratti – Sanzioni – Divieto di trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Assenza di diritto al risarcimento del danno» -
Precari stabilizzati: contratti a tempo trasformati in
“indeterminato”
Tempo indeterminato e carriera ricostruita con anzianità pre-ruolo dopo la condanna della Corte di Giustizia per l’abuso nel ricorso a contratti a termine reiterati. Comincia a sortire i primi effetti la condanna inflitta, nello scorso mese di novembre, dalla Corte di Giustizia all’Italia, per il reiterato utilizzo, da parte di quest’ultima, dei contratti a termine nel pubblico impiego (leggi “Mai più precari a vita: stop al rinnovo dei contratti a termine”): sentenza che, come si era anticipato, ha effetti non solo nel settore “scuola” (dal quale ha preso le mosse la “rivoluzione”), ma anche in tutti gli ambiti del pubblico impiego e persino – secondo i primi commenti – al settore privato. Dopo la sentenza della Cassazione di appena 10 giorni fa (leggi: “Contratti a termine convertiti: riconosciuta l’anzianità di servizio al dipendente”) è ora il turno del Tribunale di Napoli che, con una recente pronuncia [1], ha disposto la stabilizzazione del contratto a termine nei confronti di un docente precario. In pratica, proprio lo stesso giudice che aveva dato origine al ricorso alla Corte di Giustiza, ora non fa altro che applicare il principio da questi propugnato: quando lo Stato italiano fa eccessivo ricorso al contratto a termine, reiterandolo per più volti, il precario ha diritto alla trasformazione del rapporto in “tempo indeterminato” e alla ricostruzione della carriera con il conteggio, a fini economici e normativi, della anzianità di servizio per il periodo pre-ruolo in maniera integrale. Divieto, dunque, di disparità di trattamento tra i lavoratori a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato, solo per il solo fatto di avere questi ultimi un contratto o rapporto di lavoro limitato nel tempo, a meno che non sussistano ragioni oggettive. Insomma: i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato. Ecco dunque la massima espressa dal tribunale partenopeo: “Dopo la condanna dell’Italia da parte della Corte di giustizia europea con la sentenza C-22/13 per abuso del contratto a tempo determinato deve dichiararsi che fra l’insegnante e il ministero dell’Istruzione sussiste un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, dovendosi condannare l’amministrazione convenuto al pagamento in favore del ricorrente delle retribuzioni contrattualmente dovute per i periodi di interruzione del rapporto di lavoro intercorsi fino all’immissione in ruolo e alla ricostruzione della carriera del lavoratore con il conteggio, a fini economici e normativi, della anzianità di servizio per il periodo pre-ruolo in maniera integrale”.
Fonte: http://www.laleggepertutti.it/70032_precari-stabilizzati-contratti-a-tempo-trasformati-in-indeterminato
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