Il duro parere della Commissione europea sulla legge scritta dal governo Monti dipende dal fatto che il provvedimento non sarebbe in linea con le regole Ue in materia di protezione dei diritti sindacali dei lavoratori a termine. di Redazione Il Fatto Quotidiano | 23 gennaio 2013
a Commissione rimprovera all’Italia di non considerare i lavoratori a termine nel calcolo dei dipendenti complessivi di un’azienda ai fini della creazione di una rappresentanza sindacale. In particolare, i lavoratori a termine, a meno che non abbiano lavorato per almeno 9 mesi, sono discriminati. Questo ha un impatto sia sui lavoratori a tempo determinato, sia su quelli a tempo indeterminato in quanto limita la possibilità di stabilire una rappresentanza sindacale nelle aziende che non raggiungono il numero minimo fissato per legge.
La procedura Ue è stata avviata già nel 2010 e giunge ora al suo secondo stadio, successivo all’entrata in vigore della riforma Fornero. La riforma “è intervenuta sulle regole per il lavoro a tempo determinato ma non ha sanato la violazione già precedentemente segnalata dall’Ue – ha spiegato Jonothan Todd – Il nostro giudizio complessivo sulla riforma resta positivo, e in particolare sul suo obiettivo di contrastare la frammentazione del mercato del lavoro”. Per il portavoce del commissario Ue al lavoro Lazslo Andor, il secondo passaggio della procedura che sarà annunciata domani “è comunque un aspetto marginale”.
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